sabato 11 ottobre 2008

La storia di Antonio Bardellino.

Quello del boss Antonio Bardellino è il più clamoroso caso di “lupara bianca” della camorra campana. Ufficialmente, il padrino di San Cipriano d’Aversa è morto nell’ultima settimana di maggio del 1988, ammazzato da Mario Iovine, suo ex uomo di fiducia, e sepolto in qualche sperduto angolo della costa brasiliana. Il suo corpo, però, non è mai stato ritrovato, malgrado gli enormi sforzi degli investigatori. E c’è stato addirittura chi – come il pentito di Cosa nostra, Tommaso Buscetta, e l’ex capo del Sismi, il generale Cesare Pucci – ha messo in dubbio la ricostruzione stessa dell’omicidio, fino a immaginare una diversa conclusione del “giallo” legato a Bardellino. Il futuro capo del clan dei Casalesi riceve il primo mandato di cattura per associazione di stampo mafioso nel 1978, ma riesce a darsi alla macchia. Viene arrestato soltanto il 2 novembre del 1983, dopo cinque anni di latitanza, quando – ormai – la magistratura lo ha già indagato per traffico internazionale di stupefacenti, estorsione e strage. Gli agenti della Criminalpol e della polizia spagnola lo bloccano in un bar, a Barcellona, dove era giunto da pochi giorni, proveniente dalla Francia. Era braccato, il padrino, nei 134 Paesi aderenti all’organizzazione internazionale di polizia criminale e soltanto una “soffiata” da parte di un poliziotto corrotto gli aveva permesso di rimanere in libertà qualche altro giorno ancora e di fuggire da Marsiglia. Il giorno dopo la cattura, tra l’incredulità dei magistrati e degli uomini
delle forze dell’ordine italiani, viene rilasciato dal tribunale dietro il pagamento di una cauzione da 50 milioni di lire. Ed è a questo punto che la storia inizia ad assumere i contorni del mistero. Subito dopo la scarcerazione, infatti, il padrino si rifugia in Brasile, dove incontra Tommaso Buscetta e Tano Badalementi, i due vecchi capi-mafia palermitani costretti alla latitanza dall’offensiva militare dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Successivamente, si sposta verso Santo Domingo, dove – con tutta probabilità – incontra un camorrista di Caserta
che lo informa del tradimento ordito dai suoi ex “colonnelli”: Mario Iovine, Enzo De Falco, Francesco “Sandokan” Schiavone e Francesco Bidognetti detto “Cicciotto ’e mezanotte”. Il 20 maggio del 1988, Bardellino parte di nuovo per il Brasile, credendo – erroneamente – di essere finito nel mirino dell’Interpol. Il 24 maggio, il boss chiama al telefono la sua convivente, Rita, conosciuta in un negozio di Fuorigrotta, da cui ha avuto tre figli: la rassicura e le dice che proverà di nuovo a contattarla due giorni dopo, il 26 maggio. Quella nuova telefonata, però, non arriverà mai. Antonio Bardellino scompare nel nulla, inghiottito in un buco nero a migliaia di chilometri di distanza dalla sua terra d’origine. Ciò che accade in quei giorni, sono i collaboratori di giustizia a raccontarlo Basile: «Antonio Bardellino fu ucciso con tre mazzolate sulla testa, il cadavere venne seppellito in una buca scavata nella spiaggia di Bujos, in Brasile, e l’assassino, che agì da solo, fu il boss – un tempo suo amico – Mario Iovine. C’erano forti contrasti tra Mario Iovine e Bardellino,
poi ci fu una telefonata “chiarificatrice” con la quale il boss di San Cipriano d’Aversa invitava Iovine in Brasile. Pur temendo di cadere in trappola, Iovine si recò in Brasile, facendosi accompagnare in taxi fino alla villa messagli a disposizione da Bardellino, a Bujos. All’esterno della
villetta, Iovine vide l’auto di Bardellino, una Oldsmobile di colore verde che ben conosceva. Ebbe, allora, la certezza che Bardellino voleva tendergli una trappola. Si fece accompagnare dal tassista a una distanza di tre chilometri e, sul litorale, scavò una fossa. Poi, tornò nei pressi della villa, entrò per prendere la propria pistola calibro 38 ma non la trovò. Pensò che l’arma gli fosse stata rubata durante l’assenza dallo stesso Bardellino. Si armò allora di una mazza ed attese il rientro del rivale. Iovine tramortì Bardellino con un forte colpo alla nuca e lo finì con altre due mazzolate,
sfracellandogli il cranio. Poi riprese la propria pistola, che trovò addosso al cadavere di Bardellino, avvolse il corpo in un tappeto, prese i documenti e lo depose nel baule dell’auto di Bardellino. Andò a seppellire il cadavere nella buca. Intanto, a Casal di Principe gli uomini di Bardellino erano in attesa della telefonata con la quale il boss avrebbe dovuto comunicare la morte di Iovine. Arrivò, invece, a Francesco Schiavone e a Vincenzo De Falco la telefonata di Iovine che disse di aver ammazzato il rivale e che bisognava far fuori tutti i parenti e gli amici di Bardellino.
Rappresaglia che partì immediatamente e che culminò nell’eliminazione di Paride Salzillo, “figlioccio” di Bardellino». Le ultime tappe del mistero, prima della sentenza d’appello “Spartacus
1”, che ha messo la parola fine alla vicenda – almeno dal punto di vista giudiziario – riguardano l’audizione di Tommaso Buscetta davanti alla Commissione antimafia, il 17 novembre 1992: rispondendo a una domanda del presidente, Luciano Violante, il pentito affermò: «Non mi risulta,
ma non credo che Antonio Bardellino sia morto». Qualche mese dopo, sempre davanti alla commissione Antimafia, il generale Cesare Pucci, l’allora direttore del servizio segreto militare, il Sismi, sollecitato da una domanda del deputato socialista Carlo D’Amato, disse: «Credo che
occorra quanto prima trovare Bardellino, possibilmente vivo. Francamente, al momento non ho elementi per fornire una risposta esauriente sul suo decesso: mi riservo di farlo in futuro, qualora venga in possesso di notizie più precise».

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